I'm sick of all my judges (and so scared of what they'll find), Peter/Nathan per Ariel!

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.ZooeyDriver.
CAT_IMG Posted on 11/3/2008, 21:32




Titolo: I'm sick of all my judges (and so scared of what they'll find)
Autore: Zooey (♥)
Personaggi: Nathan, Peter e Arthur Petrelli (nominato). Nuovo personaggio che probabilmente non sarà mai sviluppato, non temere.
Rating: PG
Conteggio parole: 1000
Riassunto: Nathan è in vacanza dal college e fa visita al vecchio Peter<3
Warnings: Più o meno incesto e delizioso uso di sostanze stupefacenti illegali *ohoh*
Note: Lo so che non è giusto, ma avevo quest'idea da un bel po' di tempo e dopo la gita scolastica a Orange ero decisamente dell'umore giusto. Spero di non aver dato un tono troppo enfatico alla cosa, perchè non è assolutamente quel che volevo. Il titolo viene da Sam's Town dei cari Killers. Grazie a eide per il betaggio e l'aiuto per il titolo!<333
Disclaimer: No, no. Non ho creato niente e niente di tutto quanto segue mi appartiene.
Scritta per: Per Ariel<3! Era circa un milione di anni che non scrivevo una Petrellicest! Mi dispiace di non averci infilato il pron, ma è stato un parto normofaticoso e non mi andava di complicarlo!xD



Si chiede come possa non essere una preoccupazione, la striscia grigia e bollente sul coprimaterasso. Ha la sua attenzione troppo poco a lungo per trasformarsi in una paranoia e dunque finisce per essere ignorata.

 

E’ naturale che abbia la necessità fisica  ripercorrere all’indietro il flusso dei suoi pensieri? L’unica cosa giusta da fare gli sembra cercare quello che riesce a ricordare.

Ecco, lui ricorda che qualche tempo fa gridava contro suo padre in salotto. Qualche tempo fa Nathan è arrivato e più niente. E alla fine, Nathan, un pacchettino trasparente, un cartoncino arrotolato e un foglio di cellulosa.

 

Tutto quel che Peter ricordava della prima volta che gliel’aveva visto fare era quel movimento esperto con cui suo fratello aveva leccato per tutta la sua lunghezza il cilindro di quella sigaretta. Quei due centimetri di pelle umidiccia e calda fuori dalla sua bocca. La carta bagnata che permetteva a quelle sue grosse mani di liberare il suo contenuto. La prima volta che aveva provato quella cosa. Quella strana sensazione di pericolo incoerente.

 

“Andiamo, Pete” ha detto Nathan qualche tempo prima “Andiamo. Non farmi credere che è la prima volta” e Peter si è chiesto se davvero suo fratello lo capisca quanto crede.

 

Peter ha smesso di porsi domande dopo l’ultimo profondo colpo di tosse.

Nathan ha stretto il tubicino tra indice e medio e chiusa la mano in un pugno, ha incastrato l’indice dell’altra sotto il mignolo, di modo da poter far passare una quantità modigerata di ossigeno. Come chiunque avrebbe fatto, Peter ha trovato grottesca tutta questa minuzia.

Peter ha smesso di porsi domande. Non è stato rapido, ma è stato piacevole. Ecco che ogni sospetto è diventata una certezza. Come d’altra parte ogni sensazione è diventata un sentimento. I pensieri si fanno tanto lenti, che diventa difficile concluderli.

 

“...E allora, ti dico. Siamo il vecchio Simmo ed io. Ti ricordi Simmo? Certo che ti ricordi Simmo, diavolo. E insomma dopo che il vecchio Tippin ci aveva lasciati, pensavamo che saremmo rimasti in due, diamine. E invece, quando dici la fortuna. Dico, te la ricordi la faccia di Simmo? Arriva questo ragazzino, un sempliciotto del sud, i suoi devono aver pagato bene per farlo venire a studiare da noi. Puro come una sorgente di montagna, direbbe il vecchio. E insomma, una nuova palla al piede parcheggiata nel nostro appartamento. E Simmo che ha qurella faccetta che sai e quella – quella testa bionda, lui comincia a fargli domande. Sulla sua vita, le ragazze e altro. E io intanto mi metto là dietro e faccio il mio lavoro. Viene bene, sottile, omogenea. L’accendo e il ragazzino è tutto uno stupore e Simmo gli si avvicina, lo abbraccia e lo ferisce con quei suoi occhietti. Io lo fisso dal mio angolino austero. Probabilmente blatero. Ho la brutta abitudine di sparlare quando – hai capito.”

Peter ha capito benissimo e nonostante il resto riesce ad aprirsi e ridere, mentre la bocca s’impasta e la vista comincia a confondersi. Si sente giusto un po’ patetico quando chiudendo gli occhi gli pare di riuscire a percepire il suono che ha il silenzio. Nathan aspira a fondo e guarda il soffitto e i poster sulle pareti e lui riesce a sfiorarlo. Il silenzio pare avere il suono d’una pioggerellina al neon.

 

Peter continua a ridere e incastona il viso sulla curva del ginocchio di Nathan, e riesce a sentire quella sensazione di pericolo, come la volta della lingua e del cilindro.

 

“Insomma, siamo lì e lui comincia a parlargli nell’orecchio e a soffiagli in faccia il fumo e altri pezzi del suo repertorio. Il ragazzino è sempre più terrorizzato. Ha un nome banale, una faccia banale. Anderson. Se ne resta per ore ed ore intere immobile e silenzioso nell’attesa che uno di noi gli trovi qualcosa da fare. Ha uno sguardo depresso e vuoto. Mi ricorda te, a volte. E dicevo, è la prima notte e lui è tutto un tremito con le camicie ancora nella valigia e Simmo gli fa ‘Tu, parassita. Vorresti tipo...?’ e gliela passa. E poi ‘Non pensarci neanche, ragazzino’. E io, perchè è questo che faccio io ‘Dio, Simmo, dagliela poveretto. Non lo vedi che è tutto teso e piagnucoloso?’ e lui sbuffa e...-”

 

Nathan s’interrompe nel momento in cui il suo inguine e il naso di Peter si scontrano. C’è davvero qualcosa d’imprevisto in tutto questo?

 

“Che combini, Pete?”

“Non lo so” mugola Peter. “E’ solo che. Io. Oh. Il fatto è che io. Sai, Nathan, lui oggi mi ha detto che sono egoista. Ha detto che ho bisogno degli altri e che uso le persone. Ha detto che un uomo non è un uomo se non è autosufficiente e blah blah. Io non penso che. Non penso di potercela fare a.” Si stupisce che ovvietà tanto retoriche riescano a rotolare fino alle orecchie di Nathan. Pensava sarebbe sempre rimasto in silenzio, ecco tutto. Si rende conto di quanto sia pericoloso?

 

“Non credo proprio, no. Tu te ne vai per due mesi e lui. Dio. Lo sai com’è, papà? Lo sai com’è con me? Mi manchi e ho bisogno di te. E sai. Quello che, Dio. Dio, Nathan, lui ha ragione.”

Peter capisce che Nathan non è pronto per questo. Fosse sobrio troverebbe qualche frase di circostanza. ‘Lui ti ama, Pete’. Ma non lo è. E poi quella crescente sensazione di pericolo.

Peter non è più certo di starsi riferendo all’intero Nathan, con lo zigomo appoggiato sulla sua coscia.

Il suo letto a una piazza ha un aspetto quasi adulto, da quando mamma ha deciso di regalare ai coniugi Simmoard la sua trapunta con le macchinine. Si, macchinine, a quindici anni.

 

“A volte credo che non t’importi. Me ne andrò via di qui e non passerà molto tempo, Nathan. Alla fine tutto quello che mi trattiene qui sei...-”

Nathan affonda la mano nei suoi capelli neri, che hanno la consistenza umida di quegli adolescenti solitari, esili e puzzolenti di sudore. Niente pare avere senso, adesso.

 

“Ti amo, Nathan.”

“Oh, Dio. Lo so.”

 
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