To be an older brother [gen], L'allegra e spensierata (?) Petrelli family

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CAT_IMG Posted on 27/3/2008, 00:44

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Titolo: To be an older brother
Fandom: Heroes
Characters: Peter Petrelli, Angela Petrelli, Arthur Petrelli, wee!Peter
Pairing: nada, gen
Disclaimer: Le stelline don't belong to me u.u
Rating: PG
Notes: beh, tutti i più o meno loschi riferimenti a WB vari e affini sono un omaggio alla Zoe e la Eide <3 (la vostra Suresh loves you very much) così come la straordinaria partecipazione di un certo film u.u E' tutto puro fangirling e speculazione, ultimamente questi mi escono come niente e quindi devo soddisfare le ispirazioni improvvise (eeeeh sì, mi tocca... non sapete che fatica... XDDD). Ovviamente Arthur è sempre Marlonino, per Angela ho idee contrastanti a seconda dei momenti, ma con una Cristine di una trentina di anni più giovane - se riuscite ad immaginarvela - dovremmo andare sul sicuro. Mentre il mio pucci a dodici anni è quell'amore di Skandar Keynes (lentiggini a parte) ** Uhm, e non so esattamente cosa possa verosimilmente sapere Nathan circa la Compagnia, quindi sono andata molto a naso. Okay, dovrei aver finito :P

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È curiosamente divertente il trambusto che c’è a casa tua le sere in cui i tuoi genitori escono. Già il fatto in sé ha del comico, bisogna ammetterlo: hanno due modi talmente diversi di concepire il divertimento che ti chiedi sinceramente cosa possano andare a fare. Vestiti in quel modo, poi.

Per questo ti piace startene lì sul divano – il più comodo, quello che, di solito, quando tuo padre è in casa, l’Imperativo Categorico Petrelli vieta a chiunque altro di occupare – a fingere di guardare la televisione e ridacchiare di tanto in tanto.

“… cos’era quel rumore?!” puntualissima come la sveglia della mattina. Ti sembra quasi di vederla in faccia, per quanto si trovi dall’altra parte della casa. In bagno, con ogni probabilità. Ecco, la nevrosi di tua madre incinta basta a compensare tutta la comicità del resto.

“Papà ha di nuovo fatto cadere l’albero di Natale” cantileni assentemente, e tuo padre ti rivolge un’occhiataccia, mentre tira su l’abete e tenta di risistemare le palline rovinosamente cadute sul marmo freddo.

“La mia professoressa lo sa che a casa sei così imbranato? Quella di matematica, che ti fa gli occhi dolci” chiedi volutamente provocatorio, e l’uomo alza gli occhi al cielo. Ma non ci puoi fare niente, se nessuno dei due riuscirà – almeno nel giro dei prossimi sei mesi, o forse sei anni – a dimenticare quell’unico e triste colloquio scolastico a cui Angela ha dovuto mancare, avvisando lui e suo padre a circa dieci minuti dall’apertura del portone della sua scuola media e costringendoli a correre per andare a mettersi in fila.

“Nathan, evita per favore”

“Ma dove andate?” … mh, ecco qual era il dettaglio che ti sfuggiva.

Tua madre, il suo imponente pancione e i due consueti strati di trucco fanno finalmente il loro glorioso ingresso in salone, sotto gli occhi imperscrutabili di tuo padre. “A cena, no? Te l’ho già detto”

Inarchi un sopracciglio. “Con la vostra compagnia segreta?”

Compagnia e basta, Nathan” ti corregge calmo tuo padre, aggiustandosi i polsini della camicia prima che a tua madre venga l’idea di farlo al suo posto. “Era segreta prima che tu sapessi della sua esistenza”

Sbuffi. “E’ una setta massonica come quelle di cui ci ha parlato quella di religione?”

L’uomo storce il naso. “Te l’ho sempre detto che fargli studiare religione è una fesseria” fa a tua madre, facendole spuntare una smorfia sul volto.

“Per favore, come se il problema fosse quello. Lo sai anche tu che è la scuola a non andare bene”

Ecco, queste sono le volte in cui diventano noiosi, e preferisci non starli ad ascoltare. Ti concentri sull’ennesima pubblicità di addobbi natalizi, prima di sbadigliare. Respiri quasi di sollievo quando li vedi entrambi incappottati.

Tua madre ti si avvicina, e ti prepari mentalmente al consueto rosario. “Vai a letto presto”

“Sì, mamma”

“Se telefona la Stevens dille che la richiamo domani, e che mi dispiace davvero tanto per suo nonno”

“Va bene, mamma”

“Non guardare le diavolerie sulla Guerra del Vietnam che danno in tv”

<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%; font-family: "Times New Roman","serif";">Bella, questa.

Rotei gli occhi. “Okay, mamma. Divertitevi”

Strizzi come di consueto gli occhi quando si piega a baciarti la fronte.

“Ehi, mamma?” la chiami un’ultima volta quando sono giunti sulla porta.

Tuo padre guarda impazientemente l’orologio.

“Sì?”

“Se… se stai male vieni a casa, okay?”

Annuisce con un piccolo sorriso.

Non ti piace fare la femminuccia, ma ti preoccupa il fatto che tuo fratello dovrebbe essere già nato da una settimana o giù di lì, in teoria, e tua madre pensa ad uscire con la sua setta massonica o il diavolo che è.

“Non preoccuparti”

“Viene anche il vostro amico che sa cucinare?”

Tuo padre si volta. “Perché?”

Scrolli le spalle. “Ditegli che le bruschette erano buone”

Tuo padre ti rivolge un sorriso bonario, prima che entrambi scompaiano oltre la porta.

Con un lungo sospiro sprofondi una guancia in uno dei cuscini rossi, fissi per qualche secondo un bellimbusto non meglio identificato che fa finta di cantare qualcosa e poi cambi canale.

A streetcar named Desire, o almeno è ciò che recita la scritta in basso a sinistra. Un paio di inquadrature a un uomo e una donna che litigano come matti e deduci che deve essere uno di quei film che tua madre guarda mentre cuce le tutine per il bambino (già, perché le tue non vanno assolutamente bene, bisogna cambiare aria). Ma l’uomo è troppo belloccio e la bionda troppo schizzata e capisci come deve andare a finire, così svanisce anche la pallida ombra di interesse che avevi per il film.

E finisci per chiudere gli occhi ancora prima di spegnere il televisore.

*

Stai fluttuando a mezz’aria con gli occhi chiusi e la testa che ballonzola a destra e sinistra, poi ti rendi conto che qualcuno ti sta portando in braccio. Il rumore di qualcosa di metallico e grosso che si apre, e vieni frettolosamente appoggiato su qualcosa di morbido e ruvido.

Poi quel qualcosa che era stato aperto viene repentinamente e bruscamente chiuso, con un tonfo di cui probabilmente, se fossi sveglio la metà di quanto sei addormentato, ti lamenteresti.

Quando apri gli occhi, tuo padre ha messo in moto da qualche minuto ormai, e guardandoti intorno ti accorgi di essere ad almeno un chilometro da casa.

“P… papà…?”

“… tua madre è in ospedale”

Ci metti un attimo a registrare le sue parole. E quando realizzi ciò che deve essere successo, una fitta quasi dolorosa di calore ti fa contrarre le viscere. “Eh?!”

“Si è sentita male. Sembra che tuo fratello sia nato”

Oh. Wow.

“Perché mi hai portato in braccio?” lo guardi quasi oltraggiato. “Ho dodici anni”

E’ stupido che non ti venga in mente nient’altro da dirgli.

La luce verde del semaforo verso il quale state correndo furiosamente si spegne e si accende quella rossa, ma invece di fermarsi tuo padre sale di marcia, accelerando. “Trentacinque piani trascinandoti per un braccio o una gamba mi sembravano un po’ troppo”

“Sei passato con il rosso”

Tuo padre non risponde, e si limita a gettare la cicca di sigaretta fuori dal finestrino aperto.

Impiegate meno di quanto pensassi – eppure, è pur sempre troppo – per raggiungere l’ospedale, e hai la netta impressione di essere saltato giù dalla macchina mentre era ancora in movimento.

Tuo padre è ancora più alto di te di un bel po’, e le sue gambe sono ancora più lunghe delle tue, decisamente più lunghe delle tue. Eppure, per una volta, non ti sembra difficile stare al suo passo. Forse perché stai correndo senza nemmeno accorgertene.

Non sapresti dire quanti corridoi interminabili, ascensori, barelle, infermieri e lampade al neon vi passano davanti agli occhi prima che finalmente troviate il reparto giusto. Sai solo che nel momento in cui vedi tua madre in lontananza, attraverso la porta semiaperta della sua stanza, con in braccio qualcosa, non vuoi sentire ragione. Ti ci fiondi dentro senza dare retta a ciò che sta dicendo tuo padre.

“Mamma!”

Ti sorride brevemente. Sembra stravolta, ma ha immancabilmente tutto sotto controllo. Ti basta un’occhiata per poterlo dire.

L’odore di fumo alle tue spalle ti preannuncia che anche tuo padre vi ha raggiunti. Scosta appena il lenzuolo per vedere la faccia arrossata e gli occhietti chiusi del bambino. Tuo fratello. Mio fratello. Sono un fratello maggiore.

Storci il naso. “Ma quanti cavolo di capelli ha?!”

Tua madre inarca un sopracciglio. “La quantità giusta” solleva lo sguardo su di te. “Vuoi prenderlo, Nathan?”

Subito è un’ondata di paura che non riesci a spiegarti ma nemmeno a reprimere, e cerchi di imporre – anche con una certa ferocia – alle tue gambe di non tremare così tanto. Ma più lo guardi e più il dubbio che possa rompersi solo sfiorandolo diventa assillante.

“Va… bene. Grazie” non sai che altro rispondere, e ti avvicini quando tua madre fa per porgertelo.

Non pesa niente, eppure è tutt’altro che inconsistente. È ciò che di più carico tu abbia mai tenuto in mano. “Come si chiama?”

“… Peter” tuo padre legge ad alta voce il nome scritto sulla targhetta ai piedi del letto.

Spalanchi gli occhi e non riesci ad evitare di sorridere. “Il nome che avevo scelto io!”

Tua madre annuisce. “Te l’avevamo promesso, no?”

E’ quell’avevamo e il suo plurale a stonare, ma sei troppo stordito da quell’improvvisa ondata di felicità e riesci a lasciar correre.

“Chi aveva scelto il nome, quando sono nato io?”

Ed è quel silenzio letale e imbarazzante, ed è esattamente quello che temevi, e sei stato stupido abbastanza da lasciare che la tua curiosità superasse il giusto intento di trattenerti.

Non ti fa poi così male sapere che fare i genitori non era esattamente il loro sogno, l’importante è non pensarci. È essere costretto a farlo, il problema.

“Le alternative non è che siano molte” commenta aspra tua madre, e serri istintivamente la presa sul piccolo Peter.

Tuo padre sbuffa, guardando altrove. “Cosa vorresti dire, con questo?”

“… di’ a tuo figlio come passavi le giornate quando lui è nato, avanti”

Basta!” e non sai chi è che ti ne sta dando il coraggio. Sai solo che sei disposto a rischiare dieci, cento raffiche di ceffoni di papà e castighi di mamma, pur di dirglielo una volta per tutte. Che non ne puoi più. “Non me ne frega niente di cosa faceva papà quando io sono nato, né di nient’altro, per un giorno, un giorno, visto che è appena nato vostro figlio, potete lasciar perdere??”

Arriva il ceffone di papà, senza nemmeno farsi aspettare. A volte sei convinto che lo faccia perché non sa cosa dirti.

“L’ho scelto io, il nome” tua madre è irrazionalmente calma. Fa quasi paura. “Nathan. Mi è sempre piaciuto un sacco. Avrei chiamato Peter così, se tu non ci fossi stato”

Scrolli le spalle. Per qualche secondo pensi seriamente di non rispondere e tenere il muso ad entrambi fino al giorno in cui morirai. Ma devi ammettere, seppur a malincuore, che sai fin troppo bene che non ti porterebbe da nessuna parte.

Così, per l’ennesima volta, deponi l’ascia di guerra. “Anche perché non ci sarebbe stato nessuno a dirti di chiamarlo Peter, senza di me”

“… sempre detto che eri intelligente” ed è lo stesso che ti ha appena dato uno schiaffo. Ma è papà. E gli sorridi, mandando giù un magone.

“Andate, dai. È tardi”

Con uno sbuffo scontento porgi il fagottino a tua madre, che ti rivolge un piccolo sorriso.

“Dagli la buonanotte. Vi rivedete domani”

Ti chini fino a baciare appena la testolina setosa di Peter. “Mi fai saltare la scuola?”

Tua madre alza gli occhi al cielo. “Se è necessario”

“Giuralo!... giuralo davanti a papà. Papà, ascolta mamma”

Tuo padre inarca un sopracciglio. “Ascoltare cosa?”

“Ecco! Ti stavi facendo gli affari tuoi!”

“… Nathan, finiscila” tua madre ti ammonisce con un cenno del capo. “Arthur, domani Nathan sta a casa da scuola. Lo porti qui. D’accordo?”

Annuisce. “Va bene. Andiamo, Nathan. Buonanotte”

“Buonanotte” fai eco a tuo padre, ma è appena un sussurro. Esci dalla stanza senza voltarti per assistere al saluto tra i tuoi genitori – se effettivamente c’è qualcosa a cui assistere. Non hai voglia di farti illusioni per poi vederle crollare.

“Nathan” sei a metà del corridoio, ormai, quando tuo padre ti raggiunge.

Ti ritrovi un braccio intorno alle tue spalle in quel suo modo burbero che sembra volerti strozzare, con rabbia e sufficienza al tempo stesso, e ti chiedi se non te lo stai sognando.

“Sei un fratello maggiore, adesso”

Cogli tutte le raccomandazioni che vorrebbe darti senza che lui le dica ad alta voce. Non sai come accada, ma è così.

Pensi all’esserino che hai tenuto in braccio fino ad un attimo fa.

Ti sembra impossibile che possa esistere qualcosa di così piccolo. Così minuscolo, ed è riuscito a sfatare la tua paura di non essere all’altezza della tua famiglia. All’altezza di tutto quel casino. Perché adesso siete in due.

“Sì, papà”

 
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marty.bishops
CAT_IMG Posted on 27/3/2008, 00:58




è Bellissima!!!! Ti giuro mi è venuto da piangere!!!! :çOç: è tutto così reale... fila tutto così liscio!!!
 
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CAT_IMG Posted on 27/3/2008, 13:48

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*___________* GRAZIE MARTIIIII!! XD
 
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Matrioska.
CAT_IMG Posted on 27/3/2008, 14:59




Bellishima *___*!

CITAZIONE
Ti sembra impossibile che possa esistere qualcosa di così piccolo. Così minuscolo, ed è riuscito a sfatare la tua paura di non essere all’altezza della tua famiglia. All’altezza di tutto quel casino. Perché adesso siete in due.

:inlove::inlove::inlove:
 
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CAT_IMG Posted on 27/3/2008, 15:14

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Grazie Matri! *///* Ma mi fanno una tenerezza immensa, ti giuro, fosse per me ne uscirebbero a valangate di queste cose! ** XD
 
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4 replies since 27/3/2008, 00:44   172 views
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