Titolo: I used to bring you sunshine
Fandom: Heroes
Characters: Peter Petrelli, Nathan Petrelli
Pairing: Peter/Nathan
Disclaimer: Non sono miei i due tesori qui,
se lo fossero dubito farebbero mai cose del genere. Il titolo è una citazione della bellissima "Too much love will kill you" dei Queen, canzone che ho sempre pensato fosse cucita addosso a loro.
Rating: R+
Warnings: incesto, rapporti (anche sessuali, ma solo citati) tra fratelli
Spoilers: è ambientata durante il finale di
Powerless, che è l'ultima puntata della seconda stagione, quindi regolatevi voi...
Notes: Sinceramente? Boh. Con 2033844 OTP in altrettanti fandom, non so quale astro celeste mi abbia portata a scrivere su di loro, penso che la parte razionale del mio cervello ogni tanto si prenda qualche vacanza. In ogni caso, l'ho scritta per
questa bellissima challenge organizzata dalla geniale
iosonosara (
Cinque cose che _____ non ha mai detto a _____).
Ultimo ma non ultimo, se sono riuscita a scrivere qualcosa del genere (di nuovo, per altro) è unicamente grazie a voi (e sì, dico proprio a voi, che starete lì a ridervela come delle iene). Quindi prendetevi pure il merito se vi piace, ma anche la reponsabilità se fa schifo
Non è vero che eri caduto dalla bicicletta, quella volta che avevi sei anni e Nathan ti ha trovato accartocciato per terra nel giardino dei nonni.
Ti eri arrampicato su un albero. Per provare a volare.
E cinque minuti dopo, guardando le sue dita così forti premerti il cotone inzuppato di disinfettante contro le ginocchia sbucciate, mentre il bruciore ti faceva girare la testa ed eri solo marginalmente cosciente dei suoi rimproveri borbottati, avevi quasi provato l’improvviso desiderio di dirglielo. Ma poi ti era venuto in mente che per diventare grandi bisogna pur averlo, qualche segreto.
Quando siete stati svegli fino all’una e mezza perché lui ti aiutasse a terminare quell’assurdo saggio di letteratura, il giorno dopo neanche ci sei andato, a scuola. Vederlo con quell’anello al dito era stato sufficiente a farti passare una delle peggiori nottate della tua vita e a farti vomitare anche l’anima.
Dopo averlo salutato con il più falso dei sorrisi mentre portava fuori dal garage il suo culo, i suoi occhiali da sole e il suo bel BMW nuovo di zecca, avevi gettato lo zaino in uno sgabuzzino. Vagare senza meta per New York ti era sembrata la più allettante tra le prospettive, tutto sommato. Almeno eri sicuro di non incontrare nessuno così interessato a scoprire cosa ci fosse che andava ‘così male’.
Era la prima volta, e qualcosa dentro di te sa che lui l’ha capito perfettamente. È solo che non hai voglia di accettarlo. Ti piaceva fargli credere che avevi un certo successo a scuola, che non eri il più imbranato dei sedicenni, che sapevi il fatto tuo e che niente,
niente ti spaventava.
Nemmeno la scomoda e dolorosa sensazione di essere spaccato a metà, o il mal di testa lancinante, i tuoi capelli troppo lunghi appiccicati alla faccia e le braccia e le gambe che ti tremavano.
Non per il freddo, e nemmeno per la paura.
Nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi che ti è mancato non per giorni, ma per
settimane, e quel vuoto dentro di te che prima di provare almeno a colmarlo, nemmeno sapevi di avere.
Hai sempre odiato le volte in cui ti chiedeva se fossi felice. Ruggendotelo nelle orecchie mentre le sue mani e il resto del suo corpo ti facevano dimenticare perfino il tuo nome, soffiandotelo appena sulle labbra mentre cercavi disperatamente di recuperare il fiato di qualcuno che ha corso una maratona, dandoti il buongiorno quando ti svegliavi nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, ma tra due braccia che hai sempre cercato di convincere te stesso che fossero quelle giuste.
Forse si meriterebbe di sapere che ognuno di quei ‘sì’ è stato una patetica menzogna. Non potevi essere felice per qualcosa che lo sporcava così tanto, non potevi essere felice quando ogni volta che il suo volto si faceva serio eri capace di trattenere il respiro fino a soffocarti, nell’orribile paura che avesse deciso che era abbastanza, che dovevate finirla. Che si era stufato.
Perchè era un sole di quelli che abbagliano, non di quelli che scaldano.
Ma era pur sempre il tuo sole.
Con la sua testa tra le mani e la tua bocca che butta spasmodicamente fuori il suo nome ad un ritmo che non sei tu a comandare, mentre ti guarda chiedendoti qualcosa che non sai identificare e i suoi respiri mozzati risuonano nei tuoi orecchi come i colpi di pistola di due secondi fa, strizzi gli occhi già lucidi e pensi all’ultima cosa che non sei mai riuscito a dirgli. Pensi a quando ha creduto di perderti e una manciata di minuti dopo ti ha confessato di non sapere nemmeno chi è, senza di te. A quanto l’incapacità di rispondere, se non per sdrammatizzare, ti abbia fatto sentire un’idiota, quella volta.
A quanto adesso vorresti urlarglielo, gridargli nell’orecchio che no, no,
no, non hai capito un cazzo, Nathan, Cristo Santo.Sono io, IO quello che non sa chi è senza di te.E vaffanculo, non deve finire così. No, non finirà così.
Non finisce, Nathan.
